Friday, October 30, 2009
Vara en el Zoo de Barcelona
Wednesday, October 28, 2009
Inferno, di Daniela Montella
di Daniela Montella
Qui dove tutto è buio.
Qui dove la nebbia è nera
e il vento è un unico grido
di polvere da sparo.
Qui dove le montagne
sono denti insanguinati
e le ossa fischiano
nella tempesta.
Qui dove i vetri nascono rotti
E i muri nascono marci.
Dove i rovi stringono i polsi
E le grida spariscono.
Qui dove le lacrime si asciugano
Prima di essere versate
E dove nessuno
Ti può vedere.
Qui dove i sussurri
Sembrano grida
E le grida
Le porta via la pioggia
E la pioggia
Si mischia al sangue
Qui dove il sangue
Diventa un profumo
Che evapora presto
Qui dove non esistono parole
Non esistono pensieri
Non esiste ieri
Qui dove resistono
Solo i rimpianti
Qui dove sono arrivata io.
Qui dove muoio io.
Muoio perché la vita è sparita
La vita è bandita
Da queste terre
Qui dove nessuno
Sa davvero di esistere.
Ricordo ancora come sono
Arrivata qui.
-
Cicatrici appena nate,
cicatrici-bambine,
piangevano
lungo i miei polsi.
Nacquero da una lametta.
Nacquero nell’angoscia.
Le loro lacrime erano fredde.
Il loro grido
Muto
ancora mi devasta.
Le loro lacrime
erano fiocchi di neve che
scendevano fino ai palmi
e lì
si scioglievano di dolore.
Cicatrici-bambine che
mi tormentavano dentro.
Cicatrici-bambine che
mi accompagnano ancora
nel cammino.
Lui mi ha chiesto
quando è successo.
Non gli ho risposto.
Le guardavo.
Guardavo loro.
Le mie cicatrici.
Nuove sulle vecchie.
Le mie cicatrici
Qui
Dove tutto è sepolto
Risplendono ancora
I miei polsi sono solo
vene e cicatrici
biancore
di pelle che luccica.
I miei polsi colano lacrime.
I miei polsi ricordano.
Lui mi ha chiesto
cosa ho fatto.
Non mi piace
Dirgli della mia morte.
Lui si è avvicinato ancora.
Lacrime sui polsi.
Bambine gementi.
Ricordo delle persone
Che mi parlavano
Che chiedevano
Chi, perché, cosa
Chiedevano
Perché lo facessi
Volevano salvarmi
Io che invece volevo
Salvarmi da loro.
Io che invece volevo solo morire.
Per questo la lama
Partorì cicatrici.
Per questo
Mi sono tagliata le vene.
Patetico e
Tragico
Spreco di battiti.
Le mie ossa
Le mangiano i vermi.
Non ho più labbra
Non ho più cuore
Non ho più niente
Solo gli occhi per piangere
la gola per gridare
e i polsi per ricordare
Forse tremo, forse dormo.
Sono tanto stanca.
Magari domani finisce il mondo.
Magari il domani
non faccio in tempo a vederlo.
Magari domani
Sarà ancora tutto uguale.
Invece di stare qui vorrei
tornare pura.
Vorrei pensarmi
appena nata.
Vorrei poter
Tornare indietro
Indietro nel tempo, prima di tutto
Prima di lui
Prima di noi
Nascere di nuovo
Culla di placenta,
occhi come conchiglie.
Pugni chiusi
contro il mondo
e vagiti silenziosi.
Loro chiamavano il mio nome.
Io non rispondevo:
Non volevo guardarli
non volevo sentire
le loro voci.
Mai più.
-
Quando mi sono svegliata
Ho chiesto dove fossi
Pur essendo sola
Sapevo di essere ascoltata.
Lui mi ha chiesto
Cosa provassi
In quel momento
Non lo so
Ero sola
In un posto deserto
E pensavo che tutto
Sarebbe andato per il meglio
Pensavo che tutto
Sarebbe tornato bello
I tramonti di sangue
Mi piacciono
E non ho mai
Chiesto di tornare a casa
Non volevo provocare
Il disprezzo degli altri
Ma
Oltre ogni previsione
Mi sono finalmente sentita
Al sicuro
Fra gli alberi genuflessi d’inverno
E la fredda scure di vento d’estate
Sto bene ora
Trovando lui
E parlando con lui
E pensando come lui
Che è bello
Anche da morto
Qualcuno
A cui poter dire ti amo
La vita era la mia prigione
E morendo ho trovato la salvezza
I tagli sui polsi
Erano la porta
Per la mia nuova casa
Le albe e i tramonti qui
Sono uguali
Hanno lo stesso colore
Giallo e malato
E l’aria è acida e pesante
Quando il sole nero
È alto nel cielo
Io e lui lo guardiamo parlando
Senza davvero ascoltarci
Le nostre parole sono solo musica
Dolce musica in un mondo di
Mostri stupendi
Lui era qui prima di me
Si è sparato
Un colpo in testa
Facendosi esplodere il cervello
Davanti a sua madre
Ha il cranio aperto e posso
Guardarci dentro
Ma ancora non vedo cosa pensa
Quando gli dico di me
Anche lui mi ha chiesto perché
Ma non gli ho mai risposto
Guardo le navi sulla banchina
Velieri di piombo che trasportano
Altri come noi
Persone che si sono
Impiccate, affogate,
Avvelenate
Affamate, fucilate,
Bruciate
Esplose, accoltellate,
Drogate
Fulminate, dissanguate –
Persone che si sono
Uccise
Per venire qui
Le accoglie un cielo infetto
Le accogliamo noi
Con gli occhi senza lacrime
Con i corpi senza respiro
Sulle nostre guance cave
È scritta la mappa di questo posto
Nei nostri sguardi e nei nostri gesti
Nei nostri racconti e nel nostro passato
Nei nostri pochi intatti istanti di vita terrena
Nell’urlo abbandonato dall’ultimo respiro
Si indica il loro cammino
Guardano me e lui,
Ci guardano come mostri,
Loro ancora attaccati ai loro
Ricordi di vivi
Loro il cui corpo
Non ha cominciato
A decomporsi
Loro che volevano solo
Trovare un posto migliore
Sembrano schifati
Dalle nostre sembianze
Non li sfiora il pensiero
Che fossimo come loro
Che amassimo e fossimo amati
Che pian piano le nostre vite
Si erano fatte troppo strette
E i nostri respiri troppo gonfi di bile
Non li sfiora il pensiero
Che come loro era il dolore
La nostra unica emozione
Non capiscono, non pensano
Non vogliono ascoltarci
Non sanno cosa vuol dire
Speravano forse
in qualcosa di meglio?
Io l’inferno
L’ho sempre immaginato
Riflesso nel mio specchio.
Era tutto nei miei occhi
Era nei respiri che non volevo compiere
Era nei battiti del cuore
Che non ascoltavo più
L’inferno era in me
Lo cercavo da sempre
Sono stata la sola
A non spaventarmi
Quando lui mi ha
Spiegato dove fossi.
Mi sentivo nata davvero
Dopo un parto dissanguato
Tutti gli altri sembrano
Maiali al macello.
Urlano piangono e si disperano
E pregano
Supplicando
Per una seconda occasione
Pregano
Qualcuno
Che per loro non esiste più.
Pregano qualcuno
Che li ha rifiutati
Da quando erano vivi
Le loro voci ora
Sono schiuma di mare
Le loro voci
Non sono qui
Presi dal panico
Cominciano a
strapparsi la pelle di dosso
Convinti che questo
li porterà indietro.
Vogliono
Scappare anche dalla morte
Vogliono
Sparire anche da questo posto
Vogliono
Consumarsi di lacrime
Vogliono pensare che esista
Qualcosa di meglio
Qualcosa in cui speravano
Qualcosa che è solo illusione.
Mi divertono tanto.
A differenza di loro
Sono contenta:
L’inferno è
Il mio posto perfetto.
Killer Pussy
Director: Takao Nakano.Duración: El tema no da para más de una hora.Estreno: Del 2004.Yo creo que hay películas que ruedan aposta para ese tipo de espectadores que les da igual ocho que ochenta y que se tragan igual una de arte y ensayo como un mojón empanado. Si no, no me explico que estas películas tengan éxito. Bien mirado, si unimos título de peli porno (Nacho Vidal rodó unas cuantas, pero sin sorpresa entre las patas) a un monstruo ocurrente y escenas gore, tenemos canela fina, que se suele decir.La película no se ni de qué trata, dado que las copias son en japonés sin subtítulos. Al comienzo salen unos exploradores y un mago que hace cosas raras, para pasar directamente a la moza en porretas. Resulta que unos chavales se meten en una casa de campo para dedicarse a lo que viene siendo desgastar sales minerales y en estas se encuentran a una moza que salía con el mago metida en un cubito de hielo. Luego se descongela y se le mete a una chica un gusano por la boca (como el asqueroso anuncio ese de la cocaina que los más antiguos recordareis donde le entraba un gusano por la napia a uno) y se hace fuerte en lo que viene siendo todo el coño. Y ale, a comerse a todo varón que se arrime allí a oler.¿Qué queréis que os diga tras haber leído el resumen? Me ha recordado a un capítulo de "La casa de los dibujos" donde la princesa tenía una maldición y cuando se levantaba la falda le salía un monstruo con tentáculos. Que pechá a reir. En esta es lo mismo, pero con casquería fina, oiga, como traigo la casquería, que se me mueve, que se me mueeeeeveeeeee. Desde luego comprendo perfectamente que no tenga traducción al castellano, aunque en el videoclub quedaría bien, al lado de las de Disney una que se llamara "El coño asesino".Resumiendo, película sobre un monstruo que se le instala en el coño a una señorita lo que le obliga a ir en pelotas todo el rato y a comerse a los amantes y demás follarines. Para avezados espectadores que son capaces de verse todos los programas de la lavadora, incluso el de tejidos delicados.Esto no tiene ni estrellas ni nada que se le parezca.
Besitos.
P.D: Me estoy muriendo de la risa pensando en "el coño asesino" y recordando la historia que contaba un amigo sobre una chica que se ligó en un bar. Se metieron en el coche, le bajó las bragas y tuvieron que bajar las ventanillas de lo que salió de ahí. Jajajajaja, que cosa más soez!!!P.D.2: La escena en que rezuma la muchacha "flujo" es la cosa más asquerosa que se ha visto en el cine.P.D.3: Si esta crítica no me encumbra, no se qué hacer ya, dado que nadie más la ha criticado en español.
Publicado por Tito Chinchan en 23:00
tomado de:
http://cineenelsofa.blogspot.com/2005/10/killer-pussy.html
Captain Sensible: Wot
When I woke up this morning I was feelin' fine
But this cat starts banging man what a swine.
So I called reception but to no avail
That's why I'm telling you this sorry tale.
It went bang - I said shut up
It went bang - I said rap up.
Well I'm aware that the guy must do his work
But the piledriver man drove me berserk.
He said captain
I said wot
He said captain
I said wot
He said captain
I said wot
He said captain
I said wot d'ya want
Once a lifetime
twice a day
If you don't work you get no pay.
I been to the east
I been to the west
But the girls I like best are the ones undressed.
Well
hello Adam
where you been?
I said a'stand aside 'cause I'm feelin' mean
I've had a gutful of you and I'm feelin' bad
'Cause you're an ugly old pirate and ain't I glad.
He said captain
I said wot
. . .
He said captain
I said wot
. . .
uff... wot...
China Crisis : Tragedy & Mistery
Winter displayed in a snow white haze
Fires burning brightly in the night
Tragedy and mystery
Open your mind and you will see
From waterfalls I hear romantic calls
Feather in a ray of sunlight
Tragedy and mystery
Open your mind and you will see
Your world is changing though you cannot see
And there’s no room for secrecy
Your world is changing faster everyday
And there’s no truth in what they say
Two by twoMy heaven made blue
Life in a world of love and truth
Tragedy and mystery
Open your mind and you will see
China Crisis, uno de mis grupos preferidos de aquella época...
Soy un Pelele. Migoya.
Hernán Migoya denuncia los trucos para cobrar de la Generalitat y el Ministerio
La productora de 'Soy un pelele' se jacta de que 'da el pego' como catalana
Siete de sus ocho títulos han pasado desapercibidos, pero la empresa resiste
Conozca los 'trucos' para hacerse con subvenciones públicas
Luis Alemany Madrid
Dos de noviembre de 2006: el escritor Hernán Migoya inicia el rodaje (en español) de 'Soy un pelele', su debut como cineasta. Cuatro de septiembre de 2008: la película se proyecta por primera vez en el Festival de Sitges en su versión original. Veintidós de octubre de 2009 (o sea, el pasado viernes): el largometraje se estrena en Cataluña en una versión doblada al catalán que se presenta como original.
"Pere Domènech, mi productor, se jactaba de que sus películas constaban como rodadas en catalán, aunque estuvieran hechas en castellano, para cobrar de la Generalitat". Hasta 200.000 euros puede recibir un filme del Institut Català de les Indústries Culturals por ser catalán puro (además del idioma, se valora el origen del capital y del equipo). "Los productores hablaban de los 150.000 euros que esperaban sacar". Lo cuenta el propio Hernán Migoya.
El pasado jueves, 'Soy un pelele' se presentó de manera más bien fantasma: al pase acudieron Migoya, el actor Jordi Ordóñez, un crítico de un periódico nacional ("yo mismo le llamé, es amigo de siempre", explica Migoya) y EL MUNDO. "Los productores no han convocado a nadie porque les da igual si se ve la película o no", lamenta Migoya.
Así, en soledad, termina la astracanada de Soy un pelele. Migoya hace el relato de las calamidades y de las trampas realizadas con tal de acceder a las subvenciones de la Generalitat. "En 2003, hice el making of de Cámara oscura, de Pau Freixas, y contacté con Iris Star [la productora de Domènech, que ahora trabaja con el sello Stardis]. Tenían mala fama, pero yo tenía mucha ilusión". "Ellos tenían un telefilme que nadie compraba porque era muy malo. Me propusieron inventar una película que reciclara algunas de sus secuencias. Yo creé un artefacto con un personaje amnésico y les gustó. Pero insistí y conseguí un contrato para rodar una película con material 100% nuevo. Me pagarían 6.000 euros por el guión y 6.000 por la dirección".
Y ahí se acabaron las buenas caras. "Quisieron imponerme un rodaje en 15 días; una locura. Me planté y empezaron a hacerme la vida imposible para que renunciase a la dirección. Me pusieron una cláusula por la que me podían despedir tras una semana de rodaje», explica Migoya. «Así podrían filmar la película en 15 días, como querían. Pero el mismo día que Nacho Vigalondo firmó como protagonista, yo rechacé la cláusula y ellos me despidieron. En el acto le dijeron a Vigalondo que no había película".
Sin embargo, Iris Star tuvo que ceder para no perder su inversión. El set empezó en noviembre de 2006 con otro protagonista, Roberto Sanmartín. "Me prometieron 30 días de rodaje. Al final, a los 27 días, los productores lo dieron por terminado por las malas".
"Nunca supe nuestro presupuesto", continúa Migoya. "Había un productor ejecutivo que unos días decía que sí y otros días decía que no a todo". ¿Digamos que menos de 600.000 euros? "Me extrañaría que fuera más".
Un dossier de Iris Star de 2006 anuncia un rodaje de ocho semanas y 1,2 millones de euros. ¿Cifras infladas un 200% para incrementar las subvenciones del Ministerio de Cultura? Porque estas ayudas estatales pueden sumarse a las autonómicas y la máquina del dinero público se engorda. Desde el entorno del Instituto de Cinematografía se dice que es imposible un fraude así, ya que el Ministerio audita los rodajes. Sin embargo, profesionales relacionados con los derechos de autor reconocen que "cosas así ocurren". Y es que las subvenciones se conceden en función del presupuesto y de la taquilla que haga. En cualquier caso, si no hay fraude con las ayudas, ¿de qué viven productoras como Iris Star que ha estrenado siete producciones de dudoso éxito comercial entre 2001 y 2009 (Cámara oscura es la feliz excepción en su historial)? "Domènech me dijo que había comprado entradas de todas sus películas para asegurarse las ayudas", asegura Migoya. "También contaba que todas eran óperas primas, ya que éstas también se benefician de subvenciones".
Tras unos meses con el material filmado perdido en una caja, Migoya consiguió que la productora convocara un retake, una jornada extra de rodaje. "Los honorarios de ese día sólo los han pagado esta semana (año y medio después) porque necesitan estar al día para estrenar y cobrar subvenciones", explica Migoya. "Al músico, Refree, le debían 9.000 euros hasta hoy [el jueves pasado]. A mí, me deben 3.000".
Pese a tantas estrecheces, 'Soy un pelele' llegó al montaje final y fue seleccionada para Sitges. El estreno fue el final del calvario. "Decían que la película no interesaba, que no había distribuidor. Entonces les monté un videoclip y un trailer, pero tal vez no los encuentren: tardaron tres semanas en localizar una copia del montaje definitivo".
En medio, "se planteó buscar un cine de pueblo, pagar un pase y dar la película por estrenada. Así cobraban los derechos de emisión de TV3. Yo me negué porque creo en la película y quiero que la gente la vea. A ellos les entraron las prisas porque se les pasaba el plazo de las ayudas, así que, para calmarme, me prometieron 20 copias repartidas por Barcelona, Madrid, Bilbao...".
Con eso contaba Migoya el pasado lunes. Y el jueves supo que sólo siete salas estrenaban 'Soy un pelele'. "Una en Madrid, otra en Valencia, otra en Barcelona y cuatro repartidas por Cataluña". Estas últimas proyecciones, claro, en versión original catalana. En esos cines languidece el extraño cartel del filme. "No es el original porque los productores lo perdieron y el estudio de diseño se negó a reponerlo. Intuyo que no han cobrado. Así que han hecho una imitación chapucera". El nombre de la protagonista, Rosa Boladeras, no aparece. "Se les ha olvidado". Un despropósito más.
Trampas y cifras
Hacer óperas primas. El Ministerio de Cultura repartirá 14 millones de euros para películas de autores noveles. Hasta 500.000 euros por largometraje.
Rodar en lengua cooficial. O convencer a las autoridades autonómicas de que así se ha hecho. La Generalitat puede otorgar hasta 200.00 euros por la 'catalanidad'.
Inflar los presupuestos. Las ayudas a la producción que concede el Ministerio de Cultura son proporcionales al presupuesto del filme. Puede percibirse hasta un tercio de lo que cuesta.
Un estreno en falso. La condición para recibir ayudas del Ministerio y cobrar los derechos de emisión en TV es que la película esté estrenada. Si los distribuidores no muestran interés, siempre se puede alquilar una sala de pueblo unas horas y el estreno ya es oficial.
Comprar entradas. Cultura también exige una recaudación mínima (35.000 euros, según la ley; 60.000, según la antigua). Si el filme no llega a ese umbral, el productor puede dar un empujón a las ventas en taquilla adquiriendo entradas.
Aprovecharse de las TV. Por ley, tienen que invertir el 5% de sus ingresos en cine, vayan a recibir o no un retorno por su inversión.
http://www.elmundo.es/elmundo/2009/10/26/barcelona/1256542589.html
Monday, October 26, 2009
La Fanzine.
Hola amigos, os invitamos a acudir a los siguientes actos:
- Viernes 6 de Noviembre.Mesa redonda de fanzines en La Gota de Leche (C/Once de Junio, 2, Logroño)
Sunday, October 25, 2009
Presa Motriz en Filmets 2009
Poe: El Cuervo.
(Boston, 1809 - Baltimore, 1849)
el cuervo
Una vez, al filo de una lúgubre media noche,
mientras débil y cansado, en tristes reflexiones embebido,
inclinado sobre un viejo y raro libro de olvidada ciencia,
cabeceando, casi dormido,
oyóse de súbito un leve golpe,
como si suavemente tocaran,
tocaran a la puerta de mi cuarto.
“Es —dije musitando— un visitante
tocando quedo a la puerta de mi cuarto.
Eso es todo, y nada más.”
¡Ah! aquel lúcido recuerdo
de un gélido diciembre;
espectros de brasas moribundas
reflejadas en el suelo;
angustia del deseo del nuevo día;
en vano encareciendo a mis libros
dieran tregua a mi dolor.
Dolor por la pérdida de Leonora, la única,
virgen radiante, Leonora por los ángeles llamada.
Aquí ya sin nombre, para siempre.
Y el crujir triste, vago, escalofriante
de la seda de las cortinas rojas
llenábame de fantásticos terrores
jamás antes sentidos. Y ahora aquí, en pie,
acallando el latido de mi corazón,
vuelvo a repetir:
“Es un visitante a la puerta de mi cuarto
queriendo entrar. Algún visitante
que a deshora a mi cuarto quiere entrar.
Eso es todo, y nada más.”
Ahora, mi ánimo cobraba bríos,
y ya sin titubeos:
“Señor —dije— o señora, en verdad vuestro perdón
imploro,
mas el caso es que, adormilado
cuando vinisteis a tocar quedamente,
tan quedo vinisteis a llamar,
a llamar a la puerta de mi cuarto,
que apenas pude creer que os oía.”
Y entonces abrí de par en par la puerta:
Oscuridad, y nada más.
Escrutando hondo en aquella negrura
permanecí largo rato, atónito, temeroso,
dudando, soñando sueños que ningún mortal
se haya atrevido jamás a soñar.
Mas en el silencio insondable la quietud callaba,
y la única palabra ahí proferida
era el balbuceo de un nombre: “¿Leonora?”
Lo pronuncié en un susurro, y el eco
lo devolvió en un murmullo: “¡Leonora!”
Apenas esto fue, y nada más.
Vuelto a mi cuarto, mi alma toda,
toda mi alma abrasándose dentro de mí,
no tardé en oír de nuevo tocar con mayor fuerza.
“Ciertamente —me dije—, ciertamente
algo sucede en la reja de mi ventana.
Dejad, pues, que vea lo que sucede allí,
y así penetrar pueda en el misterio.
Dejad que a mi corazón llegue un momento el silencio,
y así penetrar pueda en el misterio.”
¡Es el viento, y nada más!
De un golpe abrí la puerta,
y con suave batir de alas, entró
un majestuoso cuervo
de los santos días idos.
Sin asomos de reverencia,
ni un instante quedo;
y con aires de gran señor o de gran dama
fue a posarse en el busto de Palas,
sobre el dintel de mi puerta.
Posado, inmóvil, y nada más.
Entonces, este pájaro de ébano
cambió mis tristes fantasías en una sonrisa
con el grave y severo decoro
del aspecto de que se revestía.
“Aun con tu cresta cercenada y mocha —le dije—,
no serás un cobarde,
hórrido cuervo vetusto y amenazador.
Evadido de la ribera nocturna.
¡Dime cuál es tu nombre en la ribera de la Noche Plutónica!”
Y el Cuervo dijo: “Nunca más.”
Cuánto me asombró que pájaro tan desgarbado
pudiera hablar tan claramente;
aunque poco significaba su respuesta.
Poco pertinente era. Pues no podemos
sino concordar en que ningún ser humano
ha sido antes bendecido con la visión de un pájaro
posado sobre el dintel de su puerta,
pájaro o bestia, posado en el busto esculpido
de Palas en el dintel de su puerta
con semejante nombre: “Nunca más.”
Mas el Cuervo, posado solitario en el sereno busto.
las palabras pronunció, como virtiendo
su alma sólo en esas palabras.
Nada más dijo entonces;
no movió ni una pluma.
Y entonces yo me dije, apenas murmurando:
“Otros amigos se han ido antes;
mañana él también me dejará,
como me abandonaron mis esperanzas.”
Y entonces dijo el pájaro: “Nunca más.”
Sobrecogido al romper el silencio
tan idóneas palabras,
“sin duda —pensé—, sin duda lo que dice
es todo lo que sabe, su solo repertorio, aprendido
de un amo infortunado a quien desastre impío
persiguió, acosó sin dar tregua
hasta que su cantinela sólo tuvo un sentido,
hasta que las endechas de su esperanza
llevaron sólo esa carga melancólica
de ‘Nunca, nunca más’.”
Mas el Cuervo arrancó todavía
de mis tristes fantasías una sonrisa;
acerqué un mullido asiento
frente al pájaro, el busto y la puerta;
y entonces, hundiéndome en el terciopelo,
empecé a enlazar una fantasía con otra,
pensando en lo que este ominoso pájaro de antaño,
lo que este torvo, desgarbado, hórrido,
flaco y ominoso pájaro de antaño
quería decir granzando: “Nunca más.”
En esto cavilaba, sentado, sin pronunciar palabra,
frente al ave cuyos ojos, como-tizones encendidos,
quemaban hasta el fondo de mi pecho.
Esto y más, sentado, adivinaba,
con la cabeza reclinada
en el aterciopelado forro del cojín
acariciado por la luz de la lámpara;
en el forro de terciopelo violeta
acariciado por la luz de la lámpara
¡que ella no oprimiría, ¡ay!, nunca más!
Entonces me pareció que el aire
se tornaba más denso, perfumado
por invisible incensario mecido por serafines
cuyas pisadas tintineaban en el piso alfombrado.
“¡Miserable —dije—, tu Dios te ha concedido,
por estos ángeles te ha otorgado una tregua,
tregua de nepente de tus recuerdos de Leonora!
¡Apura, oh, apura este dulce nepente
y olvida a tu ausente Leonora!”
Y el Cuervo dijo: “Nunca más.”
“¡Profeta!” —exclamé—, ¡cosa diabolica!
¡Profeta, sí, seas pájaro o demonio
enviado por el Tentador, o arrojado
por la tempestad a este refugio desolado e impávido,
a esta desértica tierra encantada,
a este hogar hechizado por el horror!
Profeta, dime, en verdad te lo imploro,
¿hay, dime, hay bálsamo en Galaad?
¡Dime, dime, te imploro!”
Y el cuervo dijo: “Nunca más.”
“¡Profeta! —exclamé—, ¡cosa diabólica!
¡Profeta, sí, seas pájaro o demonio!
¡Por ese cielo que se curva sobre nuestras cabezas,
ese Dios que adoramos tú y yo,
dile a esta alma abrumada de penas si en el remoto Edén
tendrá en sus brazos a una santa doncella
llamada por los ángeles Leonora,
tendrá en sus brazos a una rara y radiante virgen
llamada por los ángeles Leonora!”
Y el cuervo dijo: “Nunca más.”
“¡Sea esa palabra nuestra señal de partida
pájaro o espíritu maligno! —le grité presuntuoso.
¡Vuelve a la tempestad, a la ribera de la Noche Plutónica.
No dejes pluma negra alguna, prenda de la mentira
que profirió tu espíritu!
Deja mi soledad intacta.
Abandona el busto del dintel de mi puerta.
Aparta tu pico de mi corazón
y tu figura del dintel de mi puerta.
Y el Cuervo dijo: “Nunca más.”
Y el Cuervo nunca emprendió el vuelo.
Aún sigue posado, aún sigue posado
en el pálido busto de Palas.
en el dintel de la puerta de mi cuarto.
Y sus ojos tienen la apariencia
de los de un demonio que está soñando.
Y la luz de la lámpara que sobre él se derrama
tiende en el suelo su sombra. Y mi alma,
del fondo de esa sombra que flota sobre el suelo,
no podrá liberarse. ¡Nunca más!
Friday, October 23, 2009
Le dimissioni di Dio project.
Paula Grau & Vara en Filmets 2009
Thursday, October 22, 2009
Rob Rotten.
País: USA.
Año: 2006
SINOPSIS:
Cuando no queda ningún cuarto en el infierno... la muerte se pone muy caliente! Dirigida por Rob Rotten, en esta película vemos la versión hardcore y ultragore del clásico de Romero. Es esta una mezcla perfecta entre gore y cine X, acompañada de una BSO brutal a cargo de grupos de Death Metal (como por ejemplo Deicide). Una disparatada y blasfema película porno, en la que zombies y vivos hacen de todo menos hablar. Con unos Fx muy efectivos asistimos a una autentica orgía de excesos, destripamientos, sexo con enfermos psiquiátricos, y una muy larga serie de perversiones (eso si, el argumento se lo han pasado por el mismo sitio que a las actrices). En resumen: Sexo, gore y Death metal a volumen brutal.
Su última obra se ha podido ver en el Festival de Sitges. Se llama “The Texas Vibrator Massacre” y es un homenaje indisimulado a “La matanza de Texas”. Contiene todos los tópicos que hicieron grande la cinta de Tobe Hooper: jóvenes que viajan en furgoneta y se quedan sin gasolina en medio de la nada, paletos que se ofrece a prestar ayuda para sacar a los chicos del apuro y un festín de vísceras de broma, sangre con aspecto de salsa de tomate y crueldades ridículas. Y, por supuesto, un arma homicida, que aquí no es una sierra eléctrica que trepana los cuerpos como en el taller de un carpintero, sino un vibrador gigante que destroza coños a la vez que produce placer. Un espectáculo de hemoglobina y semen a partes iguales.
Bertha GIÓ.
Bertha Gío
La obra visual de Bertha Gío (Mérida, México, 1989) no es conversacional; combate con el espectador: lo desafía, le oprime la cara contra el piso, le responde agresivamente. Esa violencia congelada es la reacción a una hostilidad contra la mujer cuyos orígenes se remontan a la cultura del machismo, en Mérida todavía dominante, ¡por supuesto! ¿Qué es la mujer?, dice el público, y en la pregunta ya descubrimos,por debajo, un intento de cosificarla, una carga de rechazo cínico y de misoginia. Practiquemos para el futuro: ¿Un ama de casa perfecta, el estandarte de la vida familiar, la administradora de los bienes del esposo, la paloma del pequeño nido? Admirables definiciones! ¡Bravo, lector! No hay que sentirse culpables, lector. Tú y yo sabemos de qué lado está la verdad. Bertha Gío se mofa de los esquemas impuestos por una sociedad falocéntrica, ¡que tiene como uno de sus máximos representantes al yucateco, orgullosamente! En la protesta feminista, los golpes a su dueño. “Somos quienes no somos, y la vida está resuelta y es triste”, dijo Bernardo Soares, heterónimo de Pessoa, que no era de este mundo. Las mujeres de Bertha murmuran No somos de este mundo, la vida está resuelta y es triste, y lloran. Fragmentación, uso de figuras aisladas en atmósferas torcidas, desequilibrio mental. Una serie de cosas-mujeres se fueron por el camino equivocado, salieron en portadas de revistas como Vanidades y Cosmopolitan y al sonreír, las violaron. ¡Enhorabuena! El minimalismo al servicio de la esquizofrenia. La sintaxis, otro de los puntos importantes. Y la venganza, querido lector. La venganza.
Texto de Christian Núñez, 7 de febrero de 2009
http://www.artelista.com/biografia/4340097113058909-Bertha-Gio.html
Wednesday, October 21, 2009
Hay otros mundos, pero están en mi cabeza, de Oscar Sipán
OSCAR SIPÁN
Hay otros mundos, pero están en mi cabeza
A VECES IMAGINO un hombre sentado delante de una máquina de escribir intentando desprenderse de todo lo que no le gusta y vive en su interior. Tiene la mirada fija en el folio y las mandíbulas apretadas, como si lo fueran a fusilar de un momento a otro. Sus dedos, huesudos y estilizados como los de un pianista, reposan delicadamente sobre las teclas, esperando una señal del cielo o del cerebro, lo mismo da. Van pasando los minutos y los dedos comienzan a impacientarse, haciéndolo notar con un ligero temblor que parte de las articulaciones y se extiende hasta las puntas de las yemas. De repente, comienzan a moverse con soltura: la inspiración se ha posado en el árbol muerto. Las letras se imprimen con fuerza, instantáneas, oscuras y mágicas, y destrozan la quietud de la máquina y la blancura del folio. El hombre escribe durante media hora y luego lee en voz alta:
"A VECES IMAGINO un hombre sentado delante de un teléfono rojo. La luna ilumina el comedor con sus rayos de plata y el hombre espera y se desespera. En varias ocasiones ha creído escuchar el poderoso retumbar del aparato, pero todo ha sido producto de su imaginación. Tiene el ceño fruncido, lo que le da un aspecto de inspector de policía, y las manos colocadas una encima de la otra, casi suplicantes.
Los gatos rebañan los tejados en busca de salchichas y desperdicios que la mujer del carnicero les habrá hecho llegar. Caminan muy tiesos, con la cola parda erguida, en actitud desafiante, y sus ojos extraños y llenos de personalidad se clavan en los del hombre que, sentado junto al teléfono rojo, les mira a través del cristal dejando escapar una lágrima de amargura. De repente, el teléfono rojo explota como una bomba en unos grandes almacenes, inesperadamente, y lo saca de su triste letargo. Lo descuelga ilusionado y alguien susurra:
A VECES IMAGINO un hombre sentado en las frías escaleras de una casa vieja de un barrio obrero cualquiera. Tiene el culo congelado de tanto esperar sobre los escalones de piedra y le duele enormemente el coxis. Sus ojos parecen reñidos entre sí; mientras el izquierdo acaricia el buzón -un buzón pintado de azul cielo con una plaquita en la que hay escrito un nombre y dos apellidos-, el derecho vigila, como un detective a sueldo, la puerta de entrada.
Desde hace mucho, mucho tiempo espera una carta que nunca llega; ineludiblemente, se siente como el protagonista de El coronel no tiene quien le escriba. De repente, sus oídos perciben un clac, clac, clac que bien podría ser el carrito amarillo con la insignia de correos arrastrado por el cartero. Instintivamente, tensa los músculos semidormidos y se levanta como un resorte. En el ambiente del portal la esperanza es tangible; tangible como un sombrero hongo. El cartero lo ve de pie, pálido y con una mueca de ansiedad y desesperación en el rostro que le delata y, aunque sintiéndose un canalla, agita la cabeza de un lado para otro, rompiendo la ilusión de un hombre en mil pedazos. Reparte las cartas con rapidez y diligencia y enfila sus pasos hacia el exterior. Nada más doblar la esquina, se encuentra con una poetisa de enormes ojos azules y largas pestañas como carreteras que, tras besarle dos veces en las mejillas, le dice:
A VECES IMAGINO un hombre sentado en una mecedora de mimbre analizando un retrato femenino en blanco y negro, a la vez que tararea I Believe In You de Neil Young. Sus ojos recorren el rostro de la mujer como buscando respuestas. Besa mentalmente sus párpados tristes, mordisquea los lóbulos de sus orejas y termina lamiendo unos labios sensuales y angulosos como los de una mujer pintada por Balthus.
La canción se une con el retrato como un puzzle bien hecho y termina explotando en su cabeza. El hombre se retuerce de melancolía y dolor e intenta apartar los recuerdos de un manotazo. Se levanta con el rostro desencajado y se dirige hacia el mueble-bar. Saca una botella de whisky medio vacía y un vaso de cristal opaco -reflejándose momentamente en el espejo interior-, se sirve una generosa dosis y se la toma de un solo trago junto con sus lágrimas".
A VECES IMAGINO UN HOMBRE SENTADO DELANTE DE UNA MÁQUINA DE ESCRIBIR Y ME SORPRENDO ENORMEMENTE AL DESCUBRIR QUE, POR EXTRAÑO Y RETORCIDO QUE PAREZCA, ESE HOMBRE SOY YO.
Tuesday, October 20, 2009
Twentynine palms
http://lacinefilianoespatriota.blogspot.com/2009/03/29-palms-2003-de-bruno-dumont.html
Si bien queda claro que 29 Palms es, de entre las cuatro películas de Bruno Dumont, la más libre y despojada y hasta errabunda estructuralmente, es, al mismo tiempo, la más determinista, ideológicamente hablando. La contradicción -o por lo menos el contraste- me resulta de gran interés. ¿De qué manera una forma más abierta estimula una conclusión más cerrada? ¿Es esto casual?Su radiante minimalismo, aprovechando de seguro la inspiración que significó filmar por primera vez en Estados Unidos, solo puede parecerme una decisión saludable y atrevida, chocante, extrema, tan natural como experimental, y, en definitiva, fascinante. 29 Palms me parece también impecable en cuanto a lo que muestra; una pareja tan caprichosa e impredecible como el viento que se mueve en el desierto. Un escenario tan abierto, para este director francés significa sobre todo una cosa: miedo. Como si no hubiera donde esconderse de nuestra aterradora pequeñez. Paisajes. Cielos. Piedras. Carreteras. Paisajes no-humanos. Humanos, pequeños, como pequeños detalles en las fauces del paisaje. Paisajes de cuerpos, de cuerpos desnudos, de coitos, de orgasmos.La palabra hablada no es la actividad más practicada por estos personajes. (Y cuando lo hacen, ella muestra una lógica paradójica, que hace que él se enfurezca). El desierto es también un desierto de palabras, lo esencial permanece, con fuerza, no-verbalizado, o inverbalizable. La atención que deberemos poner al observar la tensión / distensión de los gestos de los personajes es clave. La danza de sexo y violencia funciona como las dos caras de la misma moneda, los dos lados de una cara, los dos momentos de la misma pulsión, las dos energías de un cuerpo. ¿Es así? Al menos, es así para los personajes…
Uno está fuertemente tentado de leer la película como nihilista. Como el abandono de la esperanza, en este juego torturado de desencuentros. Por mi parte, no creo que sea únicamente nihilismo. Me resisto. Es algo mejor, o tal vez, peor. El horror surge en los últimos minutos en estado puro. Incontrolable. La escena de la violación es modélica al respecto. El violador del fotógrafo, grita y llora, al terminar de violarlo. Es como si hubiera un mal que lo poseyera, que lo obligara a cometer ese acto. ¿Un giro significativo en la obra de Dumont? ¿Una especie de neurótico divertimento en negativo? ¿Una película maldita, ahogada en su propia maldad? ¿Estaremos, entonces, ante una bella y torturada película sobre la insignificancia brutal de nuestros bonitos intentos de civilización? ¿O será ‘solo’ una pesadilla, sin rebuscadas resonancias simbólicas?Es la película más negra de Dumont. La redención aquí se muestra por completo imposible. El miedo, la destrucción, triunfan como el avance sordo del viento del desierto. Una sequedad trágica, que hiere o complace al espectador es lo que queda –de ahí la duda que surge con respecto a la película: su pertenencia a una codificación del género de horror, al final, sin matices, que la eleven más allá del simple rapto pesimista y desesperado, o (aún peor) banalmente provocador-.
Mario Castro Cobos
La Cinefilia No Es Patriota
Monday, October 19, 2009
Al PP le escandaliza el coste y los desnudos de «León es acción»
17/10/2009 verónica viñas león
Si la artista Marina AA quería provocar a los espectadores, lo ha conseguido. Al menos, ha escandalizado a los concejales del PP en el Ayuntamiento de León. La polifacética artista, que ha estudiado electricidad, danza y escultura, se desnudó y se arrojó pintura en la puerta del antiguo consistorio, en la plaza de San Marcelo. La concejala del PP Arancha Miguélez califica esta actividad de «minoritaria», «incomprensible para muchos» y de «tono provocador». La concejala del PP también se escandaliza por el presupuesto de 33.000 euros que ha invertido el Ayuntamiento en el festival de performances León es acción . El PP considera más inexplicable que las propias performances el hecho de que la Fundación Vela Zanetti languidezca por falta de presupuesto y que, también por motivos económicos, se suspenda la Feria Leer León, mientras, por el contrario, se destina dinero de los fondos municipales a actuaciones que, como las de Marina AA, «han escandalizado a mucha gente».
Miguélez, tras aclarar que no tiene «nada contra los artistas contratados», considera «curioso» el interés de la Concejalía de Cultura por fichar a Ignacio Galilea, comisario del festival León es acción , «que ya en noviembre del año pasado realizó una representación en el Auditorio de León en la que, por cierto, acabó desnudo ante el público y cubierto de pintura blanca». El festival, que concluye mañana, incluye hoy otras cuatro actuaciones, que se reparten entre San Marcelo y El Albéitar: las asturianas Parabólicas, que juegan a transformar su cuerpo; la mexicana Begoña Grande; el transgresor Cuco Suárez; y el academicista Bartolomé Ferrando, profesor titular de performance y arte intermedia en la Facultad de Bellas Artes de Valencia.
"Los seres extraños" invaden León.
Tomado de:
http://www.elmundo.es/elmundo/2009/10/16/castillayleon/1255685618.html
Susana Martín León
Actualizado viernes 16/10/2009 11:33 horas
"Es la primera vez que se hace un festival de estas características en España", aseguró el jueves el comisario del certamen, el artista Ignacio Galilea, que durante la presentación de las actividades estuvo acompañado por la concejala del Ayuntamiento de León, Evelia Fernández, y varios de los 16 artistas que mostrarán a los leoneses durante estos días su peculiar forma de entender las manifestaciones artísticas.
Para la edil de Cultura, "se trata de una apuesta arriesgada en una ciudad de provincias como es ésta", dijo, "una apuesta arriesgada pero de futuro". Y es que quienes caminen por el entorno de la plaza de San Marcelo o de El Albéitar podrán encontrarse estos días "un poco de todo".
Galilea, el comisario, aseguró el jueves que han estado trabajando en la organización de este festival "casi un año" y que estas performances "que dejarán a todos con la boca abierta" son "el oxígeno que necesita el mundo artístico para encontrar nuevas vías y acercarse al público".
Artistas conceptuales, poetas, experimentaciones musicales... Arte salido de las entrañas que puede gustar o no, pero que no suele dejar indiferente a nadie. Que por algo se dice que quien no arriesga no gana.
Begoña Grande en León.
tomado de
http://www.la-cronica.net/2009/10/18/vivir/la-experimentacion-sonora-echa-el-cierre-53844.htm
Hyperpotamus y Llorenç Barber clausuran hoy el certamen
Las Bailarinas Parabólicas llevaron su provocativo espectáculo de danza experimental al teatro de El Albéitar. M. MARCOS
Joaquín Revuelta / León
Sunday, October 18, 2009
Piratas Somalíes...
Lo de Somalia me parece que se incluye en el mismo rango de memeces que nos hace tragar a través de los medios para que no hablemos de las cosas mínimamente importantes. ¿Nadie se da cuenta de que habría que ilegalizar las campañas políticas y cambiar el sistema electoral ya?
9:18 AM
Caco said...
Y por cierto, que si yo me estoy muriendo de hambre y el gobierno de mi país está tomado y dividido y encima vienen barcos de otros continentes a llevarse la riqueza de mi mar... igual entonces también me hacía pirata.
9:20 AM
Manifestación antiabortista en Madrid
Friday, October 16, 2009
Wednesday, October 14, 2009
La Gripe A
Hoy me llega este mensaje de Rocío Boliver, Congelada de Uva.
TERESA FORCADES, doctora en Salut Pública, hace una reflexión sobre la historia de la GRIPE A, aportando datos científicos, y enumerando las irregularidades relacionadas con el tema. Explica las consecuencias de la declaracion de PANDEMIA, las implicaciones políticas que de ello se derivan y hace una propuesta para mantener la calma, así como un llamamiento urgente para activar los mecanismos legales y de participación ciudadana en relación a este tema.Estamos traduciendo y subtitulando CAMPANAS en inglés y probablemente a otros idiomas después (francés, portugués, alemán, italiano, ruso...) Os aviso para que nadie trabaje en balde y por si alguno deseaba tener este material subtitulado.Si alguien se anima a ayudar que se ponga en contacto y nos coordinamos!Muchas gracias a los que ya se han puesto en contacto conmigo y me han ofrecido su ayuda!
CAMPANAS POR LA GRIPE A from ALISH on Vimeo.
para saber más:
http://www.benedictinescat.com/Montserrat/htmlfotos/TereGripAcas.html
"Esto empieza a dar miedo"
Tuesday, October 13, 2009
Rammstein P***y Rammstein
Monday, October 12, 2009
El Fantasma de Ojos en los Dedos, by Vicente Muñoz
Sunday, October 11, 2009
Friday, October 09, 2009
Begoña Grande en La Crónica de León
Un taller a cargo de Carlos Llavata y la muestra colectiva ‘Tropas de refresco’ como preámbulo
También se estrena ‘El dibuixant’, un recorrido por la obra de Marcel-lí Antúnez
Carlos Llavata impartirá desde mañana un taller de performance.
J. Revuelta / León